“La più grande prigione mondiale per i giornalisti professionisti, la Turchia (157esima), è riuscita a scendere di altre due posizioni nell’anno passato, che ha osservato una serie di processi di massa.”
Reporter Senza Frontiere (RSF) ha pubblicato il World Press Freedom Index del 2018, che mette in evidenza la crescente ostilità contro i giornalisti e i media – apertamente incoraggiata dai leader politici – nonché gli sforzi compiuti dai regimi autoritari per esportare la propria visione del giornalismo, che pone rappresenta una minaccia per le democrazie.
RSF ha sottolineato che: “Il clima d’odio è sempre più visibile nell’Index, che valuta il livello di libertà di stampa in 180 paesi ogni anno. L’ostilità verso i media da parte dei leader politici non è più limitata a paesi autoritari come la Turchia (giù al 157° posto) e l’Egitto (161°), dove la ‘media-fobia’ è ora talmente marcata che i giornalisti sono regolarmente accusati di terrorismo e tutti quelli che non offrono la propria lealtà sono arbitrariamente imprigionati.”
Secondo l’Index, i paesi ex sovietici e la Turchia continuano ad essere all’avanguardia del declino mondiale della libertà di stampa. Quasi i due terzi dei paesi della regione sono classificati vicino o sotto la 150esima posizione nell’Index. L’indicatore generale della regione è sceso quasi al livello di quello del Medio Oriente/Nord Africa, regione che si trova ultima nella classifica per regioni.
“La libertà di stampa in Russia e Turchia è scesa a livelli senza precedenti in più di trent’anni, un declino che è molto più preoccupante per via dell’influenza che questi due paesi esercitano sulla regione circostante.”
L’Index di RSF ha dato spazio ai seguenti fatti e valutazioni.
“La più grande prigione mondiale per i giornalisti professionisti, la Turchia (157esima), è riuscita a scendere di altre due posizioni nell’anno passato, che ha osservato una serie di processi di massa. Dopo più di un anno di detenzione provvisoria, decine di giornalisti hanno iniziato ad essere processati per presunte complicità nel tentativo di colpo di stato del luglio 2016. Le prime sentenze comminate includevano l’ergastolo. Lo stato di emergenza in vigore per quasi due anni in Turchia ha permesso alle autorità di sradicare ciò che rimaneva del pluralismo, aprendo la strada ad una riforma costituzionale che rafforza la stretta di Erdogan sul paese. Lo stato di diritto è ormai solo un vago ricordo. Ciò è stato confermato dall’incapacità di indire un tribunale costituzionale che avrebbe dovuto deliberare, nel gennaio 2018, sull’ordine di rilascio immediato di due giornalisti imprigionati.”